mercoledì 27 gennaio 2021

Arte e Artisti e il Nazismo

 

ARTE E ARTISTI E IL NAZISMO

Dopo essere diventato dittatore nel 1933, Adolf Hitler sfruttò pesantemente il potere della legge per diffondere in tutta la Germania la sua personale visione artistica.

 Il 15 novembre 1933 incaricò il ministro della Propaganda nazista Joseph Goebbels di formare la Camera della Cultura del Reich che di fatto stabiliva quali artisti potevano continuare a lavorare e cosa si potesse esporre al pubblico.

Hitler voleva diffondere un ideale di uomo e di potere preso a modello dall’arte classica e greca facilmente comprensibile dalle masse: avrebbe corrisposto all’ideale razzista e diventare il soggetto caratteristico e dominante dell’arte nazionalsocialista. 

L’intenzione nazionalsocialista era di riformare l’intera cultura e di assoggettarla alla loro ideologia.

Poiché Hitler si sentiva particolarmente competente nel settore dell’arte e dell’architettura impose l’annientamento di ogni influsso stilistico moderno internazionale e la cancellazione delle opere che lanciavano messaggi non rispondenti all’ideologia nazionalsocialista.

I movimenti dell’arte moderna, senza distinzioni, furono presto definiti “degenerati” e “corrotti”.  I nazisti volevano dimostrare che i pittori astratti e gli espressionisti trasmettevano valori che avrebbero ostacolato l’ascesa della Germania alla supremazia in Europa inquinando con le loro rivoluzionarie soluzioni e tecniche la presunta bellezza fisica e spirituale del vero tedesco.

Secondo Hitler, che si considerava egli stesso un artista, l’uso ardito del colore e di immagini surreali da parte di questi pittori era una distorsione della natura. 

Hitler, da giovane aspirava a diventare pittore. Provò due volte, nel 1907 e nel 1908, ad entrare all’Accademia delle Belle Arti di Vienna, senza successo.  In ogni caso, come scrive nel Mein Kampf, l’interesse verso l’arte fu importante durante la sua adolescenza.

In Germania venne perciò proibita l’esposizione di qualsiasi opera di avanguardia in musei pubblici e gallerie d’arte e i musei vennero depurati dalle opere delle avanguardie cubiste, dadaiste ed espressioniste.

Nell'estate del 1937, a Monaco furono allestite due mostre contemporaneamente nella stessa strada una di fronte all’altra.

La prima era la Grande Rassegna di arte Germanica:   esibiva le opere di artisti ben accetti al regime, dove si esaltavano eroismo, dignità ariana, muscoli, fatica ed i valori semplici e sani delle famiglie lavoratrici dai capelli biondi e gli occhi azzurri e dove soprattutto facevano mostra di sé innumerevoli ritratti del Führer. 

L'altra esposizione, allestita in un museo dalle sale strette e buie era intitolata "Arte degenerata"*. Vi erano esposte oltre 650 opere, (quadri, disegni, stampe, sculture) delle avanguardie del XX secolo, molte di queste espressioniste, senza cornici e nella più totale confusione.  

 Le prime tre stanze erano a tema: la prima conteneva opere considerate degradanti della religione, la seconda presentava principalmente opere di artisti ebrei, mentre la terza conteneva opere ritenute offensive verso donne, soldati e contadini della Germania. Il resto della mostra non seguiva un tema specifico. Le pareti recavano didascalie denigratorie rivolte alle opere come: Insolente presa in giro del Divino sotto il dominio centrista, Rivelazione dell'anima razziale ebraica, Un insulto alla femminilità tedesca, Agricoltori tedeschi: una visione yiddish, La brama ebraica per la natura selvaggia si rivela, in Germania il negro diventa l'ideale razziale di un'arte degenerata,  La follia diventa metodo, La natura vista da menti malate.

Un opuscolo fungeva da guida:  mostrava al visitatore quale fosse il modo "giusto" di interpretare le opere esposte avvicinandole a prodotti di dilettanti o di malati di mente. Una condanna ulteriore di tali opere derivava dal fatto che, appartenendo a istituzioni pubbliche, erano state acquistate col denaro del "popolo lavoratore tedesco". 

 La mostra fu itinerante e non era richiesto il pagamento di alcun biglietto di entrata per far sì che fosse visitata e disprezzata dal maggior numero di persone possibile. La mostra si spostò in 11 città della Germania e dell'Austria e nonostante le intenzioni degli organizzatori (ebbe 2.000.000 di visitatori) suscitò molto più interesse di quella dedicata all’arte di regime.  

Hitler nel periodo nazista fece rubare moltissime opere d’arte di inestimabile valore non solo in Germania ma in tutta Europa: numerosi capolavori sono tutt’oggi dispersi e ritenuti irrecuperabili. Molte Collezioni appartenenti per la maggior parte a ebrei, furono svendute o cedute perché i loro proprietari erano stati costretti in cambio della promessa, spesso non mantenuta, della salvezza. I furti e le razzie dovevano servire a cancellare ogni traccia della cultura ebraica, arricchire le casse statali e le collezioni private e nascoste dei gerarchi nazisti.

La statua della Madonna di Bruges di Michelangelo, l’ Astronomo di Vermeer, Danae di Tiziano, sono stati tutti ritrovati dai Monuments Men (quelli che ci ha raccontato anche George Clooney) alla fine della guerra, nascosti negli appartamenti dei mercanti d'arte di fiducia del partito o nelle miniere, portati lì da treni partiti quando ormai era vicina la fine della guerra. 

 

Trecento delle opere esposte alla “Entartete Kunst”  vennero apparentemente vendute o dichiarate distrutte dai bombardamenti, ma furono invece acquisite dal mercante d'arte Hildebrand Gurlitt. La collezione ereditata ed accumulata in casa dal figlio Cornelius venne scoperta quasi per caso nel 2013. Tuttora si parla di caveau svizzeri dove sarebbero rinchiusi molti tesori che non possono essere restituiti ai proprietari perché deceduti o sconosciuti.

Gli artisti non graditi al regime che erano ancora in vita a quei tempi  furono esiliati, mentre quanti erano di religione israelita e non riuscirono a fuggire in tempo dalla Germania, furono deportati nei lager e documentarono con le loro opere le atrocità vissute. Molti di loro non sopravvissero e morirono nella Shoah.

             

 


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